Alcune riflessioni come contributo della Delegazione delle MCI di Germania al Convegno della Conferenza episcopale tedesca sul futuro delle comunità cattoliche di altra madrelingua, 10 e 11 gennaio
Le comunità di altra madrelingua sono una grande risorsa per la Chiesa in Germania, „aiutano a far respirare l’aria di una diversità che rigenera l’unità; possono alimentare il volto della cattolicità, possono testimoniare l’apostolicità della Chiesa“ (Papa Francesco, si veda il suo discorso nella pagina accanto). Nel processo in atto in questi anni di ripensare le comunità di altra madrelingua (quindi anche le missioni e comunità cattoliche italiane) nel rapporto con la chiesa locale, la Chiesa in Germania riflette, discute con le comunità e i suoi rappresentanti sulle prospettive per una “communio” vivace, vitale, fatta di tante lingue e tante nazioni.
Il 10 e l’11 gennaio si è svolto un convegno online, Fachtagung, (nei giorni in cui il numero di gennaio del Corriere d’Italia è andato in stampa e quindi senza poterne riferire ora su queste pagine ma lo faremo successivamente) a cui la Delegazione e l’Udep hanno partecipato. I temi della Fachtagung che sono stati discussi e sono stati oggetto di riflessione da parte di partecipanti suddivisi in gruppi di lavoro sono stati: come sono cambiate le comunità di altra madrelingua; servono ancora le comunità di altra madrelingua; pensare a una pastorale interculturale in un contesto di spazi pastorali mutati; comunione e diversità, la sfida di essere una Chiesa di diverse lingue e culture.
In questo articolo riportiamo alcune riflessioni e impulsi che abbiamo ricevuto e discusso durante il Convegno Europeo Migrantes e che abbiamo portato nella Fachtagung del 10 e 11 gennaio. Chi lavora ed è attivo nelle comunità è consapevole di quanto sia fondamentale „pensare con creatività ad una visione che guardi al futuro delle nostre comunità radicate nel Vangelo“ (Papa Francesco), tenuto anche conto che sono 800.000 gli italiani che negli ultimi 16 anni sono arrivati in Germania, dati aggiornati al 2021 (fonte Rapporto italiani nel mondo).
Proposte e prospettive
Monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Migrantes e arcivescovo di Ferrara-Comacchio: “Le missioni cattoliche e le comunità cattoliche di lingua italiana possono essere uno strumento, una ‚casa tra le case‘ per un primo incontro, ma soprattutto una esperienza e una comunità laicale che aiuta a intercettare, accompagnare e, talora, anche aiutare gli emigranti a non rompere quel filo sottile che li lega alla Chiesa in forza del battesimo, ma a intraprendere un nuovo percorso di vita cristiana. La missione, la comunità non è un’isola ecclesiale, ma uno strumento ecclesiale su un piano linguistico per aiutare i migranti a sentirsi parte di una Chiesa locale, unico soggetto apostolico. Per costruire questa relazione tra migrante, missione e Chiesa locale è indispensabile un progetto ecclesiale che può essere costruito attorno a 10 attenzioni.
1) Innanzitutto poggiare sulle Beatitudini evangeliche, la cui forza rinnova lo stile di vita cristiano delle nostre Chiese in Europa. Pace, giustizia, povertà, perdono, condivisione, dialogo sono i tratti di uno stile evangelico che può rigenerare l’Europa, cambiarle il cuore e superare i mali che minano l’Unione: nazionalismo, egoismo, individualismo, consumismo, edonismo, materialismo.
2) Il progetto non può che essere interlinguistico e interculturale. La diversità linguistica da ostacolo deve diventare una risorsa per la preghiera (…) Abbiamo emigranti dal Sud con una bella esperienza associativa e anche ministeriale. Come abbiamo emigranti dal Nord con una ricca esperienza parrocchiale e associativa.
3) Il progetto non può che avere carattere ecumenico, visto la storia cristiana dell’Europa. Le migrazioni hanno favorito in Europa un passaggio da un ecumenismo teologico e un ecumenismo pastorale, fatto di condivisioni di incontri, di amicizia, di matrimoni misti, di condivisione nella carità.
4) Il progetto curerà l’importanza del dialogo interreligioso.
5) Valorizzerà i nuovi media e social soprattutto per raggiungere i giovani, ma anche per un’efficacia culturale.
6) Favorirà la partecipazione attiva, di uomini e donne, alla vita della Chiesa, anche attraverso la valorizzazione di una nuova ministerialità.
7) Preparerà anche alla partecipazione attiva alla vita della città, che sono i luoghi di maggior crescita dell’emigrazione italiana.
8) Valorizzerà la preparazione di una storia matrimoniale e familiare cristiana (…) a essere soggetti attivi nella vita delle Chiese locali e sul piano educativo.
9) Il nono aspetto del progetto è la cura delle persone sole, malate, in difficoltà economica, perché trovino nella Chiesa un luogo di condivisione. Come scriveva nel 1904 il vescovo Bonomelli, fondatore dell’Opera di assistenza degli emigrati italiani in Europa e in Medio Oriente, sulla cura di tutti: ‚l‘ateo, l’ebreo, il protestante, l’anarchico, il socialista trova la stessa accoglienza, gli stessi conforti, gli stessi aiuti che il cattolico… La carità non ha barriere né politiche né religiose; dove c’è bisogno ivi accorre e non chiede altro’.
10) Un ultimo aspetto del progetto è la cura della pastorale universitaria affinché i giovani possano conoscere un’esperienza di Chiesa diversa da quella di origine e un rinnovato protagonismo.
La storia delle missioni cattoliche in Europa è anche una storia sociale. Questo impegno per la tutela della dignità della persona migrante, della sua famiglia, dei suoi diritti deve continuare a caratterizzare la pastorale unitaria nelle Chiese in Europa, anche per far fronte ‚a una perdita di quel senso della responsabilità fraterna, su cui si basa ogni società civile‘, come ci ha ricordato papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti”.
Papa Francesco tempo fa disse che non siamo di fronte a un’epoca di cambiamenti ma a un cambiamento d’epoca. Che cosa significa questo nella realtà della Chiesa in Europa. Che compito evangelizzatore hanno le comunità di altra madrelingua nel contesto europeo, in particolare in Germania? Se in passato le missioni cattoliche in Germania hanno svolto il fondamentale compito di pastorale di assistenza, di tenuta sociale, sono state un rifugio, una casa nella casa per gli italiani emigrati all’estero, le missioni sono poi diventate e lo sono tuttora luogo di cura della vita sacramentale, di incontro liturgico e anche di incontro conviviale.
Padre Antonio Grasso, scalabriniano, responsabile della missione di Berna (Svizzera) è anche ricercatore e per il convegno ha avuto l’incarico di analizzare le risposte ai questionari che la Migrantes aveva inviato in primavera alle comunità in Europa per conoscerne la realtà pastorale e i rapporti con la chiesa locale. Padre Grasso parla di evoluzione dalla comunità linguistica alla comunità di linguaggio. Invita a pensare con creatività a missioni fraterne e accoglienti ricordando che siamo nel contempo portatori e destinatari del messaggio di salvezza.
Ecco alcune „urgenze“ da lui indicate:
“1) Ridare importanza al ruolo evangelizzatore dei laici, non come ripiego in mancanza di missionari, ma come agenti, soggetti, di evangelizzazione. Abbiamo bisogno di immaginare lo sviluppo delle comunità di lingua italiana come modelli pastorali diversi, forse coordinati da laici qualificati, riconosciuti dai vescovi, con una missio canonica. Questo vuol dire pianificare e programmare un percorso di formazione riconosciuto, alla pari dei colleghi e colleghe delle parrocchie territoriali, in vista di affidare loro l’animazione spirituale delle comunità linguistiche, coordinate, forse, da un sacerdote italiano, incaricato di un’area geografica molto ampia (Unità pastorale linguistica?).
2) Superare quanto prima mentalmente (nel linguaggio e nell’autopercezione) e poi nella prassi una pastorale monoetnica nelle nostre Missioni e aiutare i vescovi a vincere la tentazione di un’assimilazione della multiculturalità, pensando che basti chiudere le Missioni e obbligare i migranti a frequentare le parrocchie territoriali per dire che sono ‚integrati’. Se i migranti sono protagonisti e parte integrante e vitale della Chiesa locale, a sua volta, essa deve modificare drasticamente il suo atteggiamento diventando più cattolica e quindi impegnata a tutelare tutte le differenze. Ciò non per spirito di sopravvivenza, vedendo nelle comunità migranti un potenziale bacino per aumentare il numero dei fedeli delle parrocchie territoriali per poterne giustificare ancora il mantenimento, ma perché ‚lo Spirito‘ – come dice il papa – ‚ci rende capaci di abbracciare tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre una uniformità che spersonalizza‘. Questo comporta che i vescovi tornino a parlare e a riflettere sull’accoglienza dei migranti economici cattolici, e non solo sull’accoglienza dei rifugiati (…). 3) Alle parrocchie territoriali dovremmo chiedere la costituzione di equipe pastorali multiculturali e multiglinguistiche, in modo che, sotto la guida del parroco territoriale possano seguire le comunità cattoliche migranti presenti nel loro territorio e garantire loro un’animazione pastorale specifica”.