Le favole esistono ancora. Avremmo potuto principiare questo articolo con ‚C’era una volta…‘. Lui, Edoardo Winspeare, regista e nobile pugliese di origine inglese. La sua famiglia arrivò a Livorno dall’Inghilterra nel XVIII sec.. Si spostò nel Regno delle Due Sicilie, a Napoli e, con l’Unità d’Italia, da Napoli passò in Puglia dove attualmente risiede. Una famiglia mescolata alla nobiltà italiana ed internazionale. Il rampollo dei Winspeare però ha deciso di rompere con la tradizione, non ha voluto saperne di nobiltà e per moglie ha scelto Celeste Casciaro, una bella e simpatica ragazza del paese. La ama così tanto da farla diventare la sua musa ispiratrice. Le prime domande a Celeste Casciaro, interprete di „In grazia di Dio“.
Diciamo che lui piuttosto ha conquistato me. Veramente uno non può resistere al fascino di quest’uomo di altri tempi, di grande gentilezza ormai scomparsa. La sua capacità di guardare, di ascoltare, la sua lezione di umiltà. Lui stesso che viene da una famiglia molto, molto più importante della mia invece insegna a me cos’è l’umiltà ed è veramente un maestro di vita.
Assolutamente no. Mi sono sempre occupata di gestione di attività e ho lavorato nel commercio e poi mi sono occupata della famiglia. Non ho mai pensato di fare l’attrice. Mi sono sempre sentita inadeguata. Non ho mai immaginato nella mia vita che potesse succedere fino a quando non ti capita di incontrare Edoardo che ti dice: ‚Certo, lo puoi fare. Perché no?
Il personaggio di Adele l’abbiamo veramente studiato a tavolino. Edoardo dice che è molto ispirato alla mia figura e un po‘ lo è perché questa donna per alcuni versi mi somiglia. Mi diceva sempre ‚L’importante è capire l’intenzione. Tu, per arrivare dal punto A al punto B devi far capire il senso della cosa. Dillo nel modo che a te piace di più, in quello che tu senti di più. E questo per una persona aiuta molto perché ti toglie molta insicurezza. Alcune cose sono state improvvisate, specialmente quando c’era un dialogo con Stefano. Con lui c’era veramente un grande feeling e lì abbiamo improvvisato tantissime cose, divertendoci anche molto.
Veniamo ora ad Edoardo. È molto garbato e divertente. Con le sue battute ci fa sorridere spesso. Prima, durante il pranzo, aveva notato alcuni tifosi delle squadre di calcio del Francoforte e del Dortmund. Si era meravigliato che tifosi di squadre antagoniste potessero stare nella stessa sala senza picchiarsi. "In Italia non sarebbe possibile" aveva detto. Si era poi alzato e li aveva fatti sedere allo stesso tavolo e fotografati. Continuando con l’intervista, di lui veniamo a sapere che il padre decise di mandarlo a Firenze dove frequentò il liceo e poi, dopo alcuni anni in America e culturalmente molto interessato al cinema, decise di frequentare l’università di cinema/televisione a Monaco di Baviera.
È stato un caso. Ho fatto l’esame di ammissione a Monaco, a Parigi, e in Polonia anche se era impossibile studiare là perché il mio polacco era inesistente. Il tedesco un po‘ lo parlavo, non come ora ma molto peggio. A Roma gli esami erano biennali. Quell’anno non c’era l’esame di ammissione. A Roma avevano bruciato il centro sperimentale all’epoca. È stato chiuso in quegli anni là, dall’85 all’89.
No. Ho lavorato con Abatantuono, Beppe Fiorello, la Finocchiaro, Fabrizio Gifuni. Comunque … ti piace lavorare con attori non professionisti Mi piace molto. A seconda delle storie e delle sceneggiature. Se hai un attore non professionista devi adattare la sceneggiatura, i dialoghi soprattutto al personaggio reale. È poi un motivo anche pratico perché gli attori non professionisti li trovi sul posto. Io faccio i film a casa mia. Ce li ho tutti lì.
Tutti lì. Precisamente nel Salento, anzi nel basso Salento. Quindi non devo pagargli la trasferta, l’albergo. Poi ci lavoro molto tempo prima. Con i professionisti devi sempre avere a che fare con gli agenti, a seconda del budget. Ma in questo film, anche se avessi avuto un milione a disposizione lo avrei fatto lo stesso con attori non professionisti perché era un film ispirato soprattutto alla figura di mia moglie.
Io faccio parlare agli attori la lingua che viene loro spontanea: il dialetto. Se Celeste, mia moglie, che interpretava Adele nel film, nella realtà avesse parlato in italiano con sua figlia che nel film è anche la figlia vera, avrei detto di parlare in italiano. Semplicemente è la lingua vera. Noi usiamo molto il dialetto. Non è che sono un purista del dialetto. A volte il dialetto si mischia all’italiano. Però l’80% della lingua che si parla è dialetto. È la nostra ricchezza l’italiano in Italia. Noi parliamo sempre tre lingue: l’italiano, l’italiano regionale, il dialetto. Diciamo: ‚A Lecce stai andando?‘. Detto così potrebbe pure andare. Ma si usa anche per dire ‚Fra un mese stai andando a Lecce?‘. Per me la lingua non racconta solo quello che vogliono dire i personaggi. Non è solo dialogo. È anche tradizione e racconta anche tante cose che non sono solo linguistiche. Sono culturali. Il titolo ‚In Grazia di Dio‘, i tedeschi, i Nord-europei che sono influenzati da una cultura protestante o in genere più laica, mi chiedono "ma perché è un film religioso?" Ma no. ‚In grazia di Dio‘ noi lo diciamo sempre. ‚Come stai in grazia di Dio?‘, ‚Lasciami in grazia di Dio‘. Ha tre significati: ’stare bene‘, ’stare in quiete, in pace con se stessi‘ e ‚lasciami in pace‘. ‚Vai a quel paese‘ si può dire ‚Va‘ in grazia di Dio‘. È un modo più gentile e un po‘ ironico.
Cosa pensi, a livello nazionale, di tutti gli anglismi che stanno invadendo l’italiano? Eppure l’italiano è una lingua ricca di termini.
Con l’italiano si può esprimere ciò che vogliamo. Io, bada bene, ho un cognome inglese, ma proprio io cerco di parlare l’italiano puro. Non dico ‚week-end‘ ma ‚fine settimana‘. La cosa che mi urta di più è quando usano le parole latine con l’accento inglese. ‚Status quo‘ pronunciato all’inglese ‚Steidus Quou‘. È ignoranza questa. Bisogna anche avere pazienza. Ma tante parole latine! … Immagino che gli antichi Romani avranno avuto un accento più simile all’italiano, m’immagino.
In ‚In Grazia di Dio‘ la vita ricomincia dalla terra. È un film che fa ben sperare. Vedi futuro nella terra? Questo film potrebbe essere un modello da seguire per vincere la crisi?
Questo non lo so. Forse. Per me il ritorno alla terra è una metafora non tanto per raccontare il ritorno alla terra ma un modo per opporsi alla crisi che può essere ritorno alla terra, ritorno all’artigianato, un nuovo tipo di economia manifatturiera, un nuovo tipo di economia basata sul turismo. Qualsiasi cosa. Semplicemente era individuare: Che cosa ci abbiamo di più vicino? Che cosa possiamo fare per non morire di fame? Ci abbiamo un pezzo di terra e una casetta in pessimo stato. E noi dobbiamo pur vivere da qualche parte. Viviamo lì. A meno che non emigriamo, non andiamo a Lecce, a Milano. Queste quattro donne lavorano la terra e sopravvivono all’inizio scambiando i prodotti, facendo il baratto. Ma non è un film ideologico, non è un film a tema anche se io non riesco a prescindere dall’aspetto morale. Io racconto una storia con dei personaggi. Non sono né sociologo, né politologo, né antropologo. Io sono un regista che racconta storie. Poi penso che la terra sia importante perché nel film si racconta il valore non solo economico ma anche identitario, spirituale della terra e poi le donne … le quattro donne che ritrovano l’armonia escludendo la parte maschile. Le donne in Sud-Italia sono forti e non hanno bisogno di dimostrarlo. Quelli più deboli, dimessi e…sono lì al momento del bisogno, sono quelle le persone forti. E poi le donne sono…la Terra è donna. Si chiama la TerrA non si chiama il TerrO. Ed è importante poi, alla fine, mi sembra quasi ovvio, che cosa mangiamo? I prodotti della Terra, no? Anche la carne per chi è carnivoro ha bisogno della Terra. Che cosa fanno ora le multinazionali? Comprano Terra. I cinesi e non solo comprano la Terra dei poveri africani. Comprano in Patagonia, in Australia perché quella sarà l’economia del futuro.
A proposito di crisi. Nel film il ritorno di Adele alla terra si ha perché fallisce la ditta di tessuti di famiglia. Mi viene in mente il romanzo ambientato a Prato di Edoardo Nesi ‚Storia della mia gente‘. Il romanzo è un lamento degli imprenditori pratesi costretti a vendere le proprie ditte ai Cinesi. Nesi dà la colpa al Governo. Avrebbe potuto e potrebbe il nostro Governo fare di più per evitare la concorrenza sleale che i Cinesi ci fanno in casa nostra?
Questo non lo so. Io vedo solo come il manufatturiero da noi era veramente una fonte di guadagno importante. Nel paese nostro c’erano 100 fabbriche. Dappertutto. La manodopera da noi è molto qualificata. Le donne salentine sono molto brave a fare le cose con le mani. Molte fabbriche del Nord si facevano fare i vestiti di alta qualità. Poi la politica del Governo e soprattutto però i Cinesi che fanno qualsiasi cosa a dieci volte meno del prezzo, che li fanno stare lì 20 ore al giorno, li ammazzano di fatica, sai? È impossibile competere. Anche se il Governo avesse adottato delle politiche più protezionistiche sarebbe stato difficile. E adesso la speranza assurda è che i Cinesi riescano a ribellarsi. E iniziano a ribellarsi. Infatti tutti si stanno spostando in Etiopia, in altri Paesi. I Turchi per esempio, ma anche gli Italiani stanno aprendo le fabbriche in Etiopia.
La coppula tisa è la visiera della coppola. Il cappello tipico del contadino salentino che adesso non ha più nessuno ma prima tutti l’avevano. ‚Tisa‘ vuol dire ‚ritta in testa‘. Non è abbassata perché la coppola storta è un sinonimo di mafioso, in Sicilia. È un’Associazione ambientalista. Abbiamo fatto principalmente due cose. Abbiamo comprato un pezzo di territorio in un luogo molto bello con un edificio non finito, quegli scheletri che ce ne sono tantissimi in Italia. Un piccolo ecomostro con una discarica che abbiamo ripulito e regalato al demanio con l’accordo di costruire lì il parco della cittadinanza attiva. Gli Italiani non sono attenti all’ambiente. Il problema di noi Italiani è che non ci sentiamo cittadini ma sempre sudditi. Tutti danno la colpa allo Stato: ‚Ah!!! Lo Stato! Lo Stato!‘ Però lo Stato siamo noi. Siamo noi che dobbiamo fare. È colpa nostra e non dare la colpa a quel partito… Siamo noi che abbiamo votato quel partito. Poi, una volta che quel politico viene votato…può aver fatto un sacco di sbagli e lo critico per questo, ma cerco di appoggiarlo anche perché in Italia molto spesso le critiche, le proteste sono fine a se stesse, sono poco concrete.
L’intervista finisce qui. Il ritorno alla terra di Adele è un grande insegnamento, è un modo di opporsi alla crisi. Ci invoglia a ritrovare l’origine del proprio talento. Anche i Pratesi dovrebbero, forse, ricominciare con il laboratorio, un loro spazio che proponga alto artigianato, cose di nicchia. La precarietà risveglia le nostre capacità antiche, messe da parte perché non considerate di livello prestigioso. E proprio oggi, per andare avanti, è necessario ritrovare la creatività. Ritrovare le cose che nessuno ti offre, la capacità di immaginare che è sempre stata un privilegio. Privilegio che si oppone a quel modo di pensare degli italiani abituati ad avere un posto fisso per tutta la vita e dunque ad un appiattimento, ad una perdita di qualità. A questo punto non ci resta che augurare a Celeste ed Edoardo di vivere ‚felici e contenti‘.