La raccolta di articoli che compone il volume si snoda in uno dei periodi più difficili della nostra storia recente: il biennio 2019/2020, segnato dalla pandemia. Nonostante le oggettive difficoltà, Palmerini riesce a trasmetterci quel senso dell’umano e quell’approccio gentile e determinato che sono la sua cifra essenziale.
Il suo micrologico sguardo attento ai dettagli coglie particolari che, proiettatati in una visione ampia dei rapporti umani e sociali, caratterizza quella che già in un’altra occasione si è indicata come filantropia, nel senso etimologico del termine ovvero “affetto/amore per l’uomo”. Emerge così, proprio in forza della sua attività e della sua vastissima rete di contatti dispiegantisi in Italia come in Canada, in India come in Cina o negli Usa, un nucleo forte di valori umanistici che gli permettono di osservare e comprendere con intelligenza critica, mai con astioso o rancoroso sarcasmo, la realtà circostante. Questi valori hanno a loro volta, quasi come roccioso ancoraggio, un solido attaccamento alla propria terra: Paganica, L’Aquila, l’Abruzzo. Nell’autore ben si coniugano quelle caratteristiche che il giornalista Primo Levi (non il grande scrittore sopravvissuto ai campi di concentramento) all’inizio del Novecento utilizzò per descrivere l’Abruzzo: la forza e la gentilezza. Gli articoli di questo biennio, si tratti di un premio letterario o della descrizione di un incontro, evidenziano sempre questi aspetti di grande umanità in modo tale che i tanti eventi, incontri, esperienze che sfilano sotto gli occhi del lettore, ricevono profondità e dignità da quel sorriso gentile e comprensivo che l’autore spesso lascia affiorare tra le righe.
La carica di “Ambasciatore d’Abruzzo nel mondo” non è vissuta da Palmerini come un semplice ruolo burocratico che consente quella narcisistica visibilità spesso solleticata dagli incarichi ufficiali; tutt’altro, questa carica diventa, come dev’essere, strumento al servizio della comunità abruzzese, in particolare, e italiana, in generale, valorizzandosi col dispiegamento di quell’empatia che, trasmessa a noi lettori, fa sfilare davanti ai nostri occhi la ricchissima rete di persone e situazioni in cui l’autore è saldamente collocato.
Se c’è un elemento del tutto assente dall’opera di Palmerini, questo è il provincialismo. L’ancoraggio alla sua “piccola patria” aquilana, anzi paganichese, non è mai un muffoso rinchiudersi in se stessi, ma il punto di partenza e di ritorno per contatti che allargano a dismisura gli orizzonti senza smarrirsi nell’indefinito; emergono così le piccole-grandi storie che coinvolgono in quasi tutti i continenti i nostri connazionali, ma non solo: si legga quanto l’autore scrive sul candidato al Nobel Hafez Haidar e subito si verrà proiettati in orizzonti culturali vasti e fecondi.
In queste pagine si respira l’aria frizzante degli spazi internazionali, della vivacità intellettuale, dell’arricchente curiosità senza dimenticare, al contempo, le origini, le radici; il legame con la propria terra nell’autore non è mediato solo da aspetti particolari e autoreferenziali, come possono diventarlo il dialetto, uno scorcio, un paesaggio, ma assume valore, vitalità, affetto attraverso le storie di tante persone, emigranti e non, che vengono descritte nelle belle pagine del libro. E’ questa coralità a rendere il testo un “mosaico di voci”. Il titolo è senz’altro ben scelto: cos’è un mosaico se non un grande disegno dove ogni tassello svolge un ruolo ineliminabile? Dove ogni pietruzza dona un senso al tutto e il tutto trae senso da ogni pietruzza? Appena manca un piccolo mattoncino, il tutto risulta sgradevole, monco: il mosaico è un’ottima metafora per esprimere il senso del volume.