70 anni della Missione cattolica di Amburgo “Madonna di Loreto”
Sabato 8 e domenica 9 la Missione cattolica di Amburgo ha festeggiato i 70 anni di fondazione. Della storia, della peculiarità e del futuro della Missione parliamo con don Pierluigi Vignola, missionario ad Amburgo dal 2014. Don Vignola è stato parroco ed officiale di curia nell’arcidiocesi di Potenza, direttore dell’ufficio per la pastorale del tempo libero, sport e turismo sia diocesano che regionale, docente universitario e lo conosciamo su queste pagine anche nella veste di giornalista pubblicista.
Ogni momento fondativo imprime una traccia per il presente e per il futuro. Che cosa desideri riportare alla memoria dell’atto fondativo della Missione di Amburgo?
Il 9 gennaio 1952 quando don Alfredo Prioni, inviato dall’allora Sacra Congregazione Concistoriale per accogliere gli italiani, fondò la missione scriveva: “L’opera del missionario deve essere considerata il trait-d’union fra gli emigrati e i parroci locali. La missione deve sperimentare tutti i mezzi affinché il connazionale che non sia abituato alle usanze locali non si trovi sperso, ma ritrovi nel missionario qualcosa della sua patria e della sua fede”. Diciamo che don Prioni è stato una sorta di precursore di quello che fondamentalmente si è ribadito recentemente al Convegno europeo delle missioni cattoliche italiane in Europa della Migrantes: si deve essere nel contesto della nazione dove si vive ma senza venir meno alle proprie radici. Questo lo diceva 70 anni fa ed è quello che si cerca di fare oggi.
Una volta però necessitava maggiormente una pastorale di tipo assistenziale. A che tipo di bisogni risponde oggi la Missione di Amburgo? Resta sempre un punto di riferimento per il tessuto sociale?
Oggi c’è una ripresa dell’emigrazione soprattutto di professionisti, ingegneri, architetti, anche medici che vengono per fare esperienza lavorativa e poi rientrare in Italia. Ci sono però anche quelli che partono all’avventura e arrivano senza avere una base, soprattutto senza avere una base linguistica e vengono sfruttati. C’è chi viene in Missione a chiedere aiuto per la ricerca di un lavoro o di una casa. Indubbiamente fino a una ventina di anni fa era una pastorale basata sul sociale, sul bisogno, adesso si cerca soprattutto di dare, e lo si vede nei giovani che fanno richiesta dei sacramenti, una pastorale dedita alla spiritualità anche perché qua al nord della Germania il discorso della spiritualità viene meno in quanto la gente pensa a lavorare, poi il fine settimana c’è la famiglia ma non si vive la partecipazione ai sacramenti.
Attraverso i tuoi interessi di carattere sociale e politico conosci molte persone, che anche non frequentano la chiesa o la frequentano non assiduamente, che tipo di bisogno spirituale cercano?
Il bisogno si percepisce e bisogna riuscire a capire come poter approcciare queste persone e dare loro quello che cercano perché fondamentalmente è la ricerca di una fede che è stata smarrita ma che loro hanno inizialmente avuto. Pensiamo di aiutare questa ricerca con i momenti culturali particolari al di là di quelli propriamente spirituali. A questo scopo ho tramutato il baretto della missione in caffè letterario e grazie alla costituzione di un’associazione no-profit vi organizziamo presentazione di libri, conferenze, visione di film, tutti stimoli affinché ciascuno si ritrovi a vivere determinate cose. Ricordo per esempio la presentazione del libro “Il gusto della fede”, sulla cultura alimentare nelle tre fedi monoteistiche. Era presente Daniela Santus, una dei due autori, che vive a Brema. Tutto questo c’è stato fino a prima della pandemia, ogni due volte al mese c’era qualcosa in programma. A marzo riprenderemo con la presentazione di libri e infatti abbiamo un appuntamento con il professor Pio Pannone di Napoli sui cavalieri templari, e quindi sulla fede di un tempo e la Terrasanta.
Il libro sugli aspetti culturali e gastronomici delle religioni ci offre l’occasione per dire che sei un appassionato di cucina, fai parte di due associazioni di cuochi italiani all’estero e alcuni di loro hanno preparato il menù per l’anniversario della Missione. Che programma di celebrazioni avete avuto?
Sì, hanno cucinato per il settantesimo. Sabato c’è stata una cena in onore dei membri eletti del Comites della circoscrizione di Hannover, con il consiglio pastorale e c’è stato un concerto di alcuni componenti del gruppo “Anonimo siciliano” coi quali collaboriamo (si veda articolo su Corriere d’Italia, luglio 2021). La domenica c’è stata la celebrazione eucaristica alle 18:00 seguita in missione dalla visione di un video con la testimonianza di “giovani antichi”, come amo chiamarli, i nostri anziani che per primi hanno vissuto la missione. Alla fine c’è stato il buffet organizzato dall’associazione.
Commemorando questi 70 anni, come vive la Missione i rapporti con la chiesa locale?
Il problema è che la chiesa locale fa difficoltà a integrarsi con quelle di altra madrelingua nel senso che i tedeschi sono, per mia esperienza, un po’ più chiusi, anche se in un paio di parrocchie tedesche i presidenti dei consigli pastorali sono italiani. Nelle utlime riunioni abbiamo visto che quando sono state organizzate delle feste i tedeschi c’erano ma sono stati i primi ad andarsene. E poi sono diminuite le occasioni di incontro. Quando si facevano le riunioni di decanato, noi facciamo parte della parrocchia del cattedrale ad Amburgo, ci si incontrava almeno una volta al mese, ma tolti i decanati, si fa ogni tanto una riunione con i rappresentanti di altra madrelingua. Inoltre fino a qualche anno fa, Amburgo aveva una settantina di parrocchie, ora sono sedici, e questo non favorisce rapporti più stretti. L’arcidiocesi di Amburgo, eretta nel 1994, ha circa sei milioni di abitanti, 400.000 sono i cattolici, di questi quasi la metà sono cattolici di altra madrelingua.
Una peculiarità di Amburgo è il grande porto. La missione ha qualche connessione con il porto di Amburgo? Chi fa pastorale portuale?
In passato la Missione ha avuto connessione con il porto di Amburgo, infatti don Prioni, primo missionario ad Amburgo, fu mandato proprio per gli italiani che lavoravano al porto. Ora si occupa dei lavoratori portuali, di qualsiasi nazionalità, la Stella Maris con un suo cappellano, proprio perché i marittimi di tutti i paesi e continenti conoscono le missioni marittime cattoliche in tutto il mondo sotto il nome di Stella Maris. Inoltre, è un antico soprannome per Maria, la madre di Gesù, che ancora oggi è venerata come protettrice di molti marinai e della cui protezione e sostegno confidano. Qualche italiano lavora ancora al porto (non più come un tempo) ed abbiamo contatti, soprattutto con un paio di giovani che partecipano alla messa domenicale.
Sei molto attento a tenere buone relazioni con tutti gli interlocutori della società e nella Delegazione delle MCI in Germania sei coordinatore della zona Nord. Ricordiamo che fra poco tempo verranno rinnovate le cariche con la nomina del nuovo delegato. Che tipo di compito è il tuo?
Siamo un bel gruppo, (missionari e collaboratori pastorali, ndr), ovviamente ci sono alcuni che latitano, con altri ci sentiamo molto spesso e apprezzano il lavoro fatto insieme. È importante la funzione di coordinatore, non potendo il delegato arrivare dappertutto, per raccogliere le istanze delle missioni della zona, portarle nel Consiglio nazionale e cercare soluzioni possibili. Questo è fondamentale affinché i confratelli non si sentano soli e abbandonati. È stata una bella esperienza, a volte anche faticosa perché quando c’è da sbrogliare una matassa ciascuno ha le proprie idee e rimostranze, va compreso il contesto eccetera. I nostri italiani poi desiderano un sacerdote italiano perché un sacerdote indiano africano, polacco, indiano, pur avendo vissuto molto in Italia, non riesce a percepire quello che è il nostro modo di pensare, di vivere. Capisco pure che ci sono pochi sacerdoti però bisognerebbe pensare a un turn over perché fondamentalmente la nostra è una eperienza a tempo (quando sono arrivato erano 15 anni, ora sono dieci anni). I vescovi italiani non sono molto propensi a mandare sacerdoti all’estero né a prepararli ma è importante che preparino i sacerdoti a uscire, a fare esperienza all’estero. Mi auguro che con il ritorno di monsignor Gian Carlo Perego in Migrantes (intervista sul Corriere d’Italia all’arcivescovo 07/21, ndr), ora ne è il presidente, si possa cambiare ed è un compito delle Delegazioni portare delle istanze a Roma e far capire certe cose.
Infine don Pierluigi che cosa auguri alla missione di Amburgo?
Se nel 2006 non fosse stato per monsignor Sanders – l’allora Dompropst (Vorsitz) di Amburgo e S.E. mons. Jaschke, vescovo ausiliare – la Missione di Amburgo sarebbe stata chiusa, è stata anche un anno senza sacerdoti. L’augurio è comprendere come la missione debba essere qualcosa che sentiamo nostra per crescere sempre di più, non solo per ricevere. Permettimi un’espressione forte “la missione non è una vacca da mungere”, devi portare anche paglia e fieno perché la mucca dia il latte. C’è gente invece che pensa che tutto sia dovuto. La comunità si deve sentire più coesa e nel contempo inserita nel contesto tedesco.