L’Italia e la Germania come recepiscono il jazz? Ci sono differenze?

In generale, direi, che ogni nazione ha un proprio modo di recepire la musica jazz. Se dovessi fare un paragone specifico tra Italia e Germania, potrei azzardarmi a dire che, da quello che ho recepito, in Germania c’è un po’ più di rispetto nei confronti del mondo dell’artista. Non intendo rispetto verso la musica in generale, ma proprio il mondo dell’artista e il fatto di essere artista. Lo penso perché lo recepisco dalle conversazioni che poi ho con la gente. A me piace molto dialogare con le persone che vengono a sentire i miei concerti per capire che tipo di emozione hanno provato attraverso la mia musica. Mi è parso di capire che ci sia molta più curiosità nel capire che cosa rappresenti la mia forma d’arte per me e non soltanto per il pubblico. Il mio pubblico spesso mi chiede da dove venga il brano, come sia stato scritto e come sia stato concepito. A volte anche dettagli molto profondi che, in Italia, non mi vengono nemmeno chiesti. Questa potrebbe essere una differenza. Tuttavia, in generale, devo ammettere che, da parte del pubblico non ho trovato molte differenze in Russia, Germania o Italia. È semplicemente un altro modo di percepire la musica nei dettagli. Ho suonato diverse volte in Germania e quello che ho notato finora è che, anche se suono in piccoli club, il pubblico non vuole perdersi un respiro e non vola nemmeno una mosca, dall’inizio del concerto fino alla fine. Prima di venire per la prima volta a suonare in Germania pensavo che i tedeschi fossero molto freddi e non si lasciassero mai andare. Conoscendoli ho notato che, invece, è esattamente l’opposto: il tedesco è molto ospitale e ha un grande rispetto per la cultura.

Come è nata la tua passione per la musica e per il Jazz in particolare?

Non sono stato io a scegliere il Jazz. È il Jazz che ha scelto me. È un momento fondamentale della vita in cui ti rendi conto quale è la tua propensione naturale. La musica, invece, è stata una cosa che io non ho scelto. Da piccolo ero davvero molto aggressivo, quasi un delinquentello da strada. Mia madre era molto preoccupata per me e per il mio futuro, ha visto oltre e si è consultata con alcune persone, decidendo, poi di iscrivermi a un corso di arti marziali (cosa che ho fatto in maniera seria) e parallelamente a scuola di musica. Io all’inizio non ci volevo andare, lei però mi ha costretto ed entrato nella scuola di musica, l’insegnante mi chiese cosa volessi suonare e fu mio fratello a decidere per me sul sassofono. Io volevo semplicemente scappare. Dopo solo un mese io e il mio sassofono siamo diventati inseparabili, talvolta anche esagerando: il sassofono era diventato il mio compagno di giochi e il mio compagno di scuola: me lo portavo praticamente ovunque. L’amore per il sassofono e la musica mi ha spinto poi a fare il conservatorio studiando il sassofono classico. Dopo il conservatorio ho continuato a suonare musica classica in diverse orchestre. Il jazz è entrato molto tardi nella mia vita: avrò avuto circa 28 anni.

Non suoni da solo. Come è nato il gruppo intorno a te?

La scelta dei musicisti diventa una parte fondamentale del processo musicale. Non è sufficiente avere solo dei bravi strumentisti. Puoi prendere il meglio del basso, il meglio della batteria e il meglio del piano, ma ciò non significa necessariamente che avrai il miglior risultato musicale. Bisogna capire e percepire se un musicista riesce a far suonare uno strumento come lo suonerei io. E qui sta la sfida. Quando si scrive un brano si immagina un suono e la cosa difficile è riuscire ad avere quel suono nella realtà. E poi deve funzionare la chimica tra i membri, perché il gruppo diventa una vera e propria “Famiglia on the road”.

Progetti futuri? Sogni nel cassetto?

C’è un progetto che realizzerò tra qualche mese, a cui pensavo tanti anni fa. Si tratta di un progetto con Big band che, assieme a me, suona la mia musica. È una realizzazione di un sogno che sta diventando realtà. Una delle cose che invece ho in testa e che nei miei viaggi intorno al mondo mi attira sempre, è la musicalità propria di una nazione riunita in un progetto musicale globale. Un gruppo con musicisti di verse zone del mondo: un percussionista africano o cubani, un musicista russo, uno cinese e uno scandinavo per unire le esperienze e vedere cosa ne viene fuori. Sono abituato a non parlare di sogni: i sogni sono enormi e a volte non realizzabili: preferisco pensare a grandi idee che posso, però realizzare.