GERMANIA – Come socialdemocratici, liberali e verdi provano la svolta
“Wir wollen mehr Demokratie wagen”. Molti in Germania ricordano ancora queste parole dell’ex cancelliere Willy Brandt quando, nell’autunno 1969, prese in mano le redini del primo governo social-liberale. Ebbene, Olaf Scholz, con un tono sicuramente meno carismatico, ha voluto inaugurare il nuovo contratto di governo con i verdi e i liberali proprio con uno slogan (“mehr Fortschritt wagen”) che fa riecheggiare quello di Willy Brandt. Vale a dire: “osare per il progresso”.
La coalizione semaforo è, senza dubbio, la coalizione delle “prime volte”: per la prima volta, a livello federale, saranno tre i partiti a formare il nuovo esecutivo. Per la prima volta, inoltre, sarà una donna, Annalena Baerbock, a guidare il ministero degli Esteri. E per la prima volta nella storia della Bundesrepublik, sarà messo in piedi un dicastero al clima – il Klimaministerium, che ovviamente andrà ai verdi e che avrà maggiori competenze rispetto a quello classico per l’ambiente.
Prima delle elezioni erano pochi a scommettere su un accordo di governo tra le forze liberali e sociali del paese; soltanto meno di un terzo dei cittadini tedeschi ha puntato sulla Ampelkoalition. Anche perché il liberale Christian Lindner, indiscusso leader della Fdp, da una parte non aveva escluso un patto con i verdi. Dall’altra parte, però, era evidente che il suo partner preferito si chiamava Armin Laschet. Inoltre, lo spettro di una (nuova) Große Koalition era ancora troppo palpabile per poter realmente credere in una piccola rivoluzione sul palcoscenico politico tedesco. I sedici anni di Angela Merkel non si possono sicuramente paragonare a quelli di Helmuth Kohl: nel 1998 la voglia di svolta era tale che nessuno seriamente avrebbe scommesso in una sua vittoria. E molti all’interno della Cdu avrebbero voluto vedere un candidato alla cancelleria di nome Wolfgang Schäuble. La Merkel, invece, può vantarsi di aver lasciato lo scettro di sua volontà. E anche se Angela non godeva più di molti consensi, non pochi sono quelli che la rimpiangono già adesso.
Ma quali saranno le novità di questo governo “semaforo”?
L’agenda politica sarà senz’altro caratterizzata da una forte spinta sul contrasto al cambio climatico. Il nuovo ministero per il clima avrà una doppia funzione: quella di occuparsi, in primo luogo, della transizione ecologica e quella di convincere i cittadini, in secondo luogo, che l’ambiente viene prima dei nostri portafogli. Ma non solo: i costi del cambiamento climatico, come prevede una sentenza della Corte Costituzionale federale di qualche mese fa, non possono essere ammucchiati e scaricati sulle spalle delle prossime generazioni. Troppo facile e, soprattutto, “profondamente ingiusto”, hanno sentenziato i giudici di Karlsruhe. Sarà, dunque, Robert Habeck, il pezzo da novanta dei verdi, a guidare il “super ministero” del clima, a cui – tra l’altro – si prevede saranno assegnati ingenti risorse per gli investimenti necessari alla green revolution. E la sua intraprendenza si nota fin da subito: “Il fatto che il prezzo dei certificati di CO2 non scenda sotto i 60 euro significa che l’uscita dal carbone sarà anticipata”. Poi Habeck alza il tiro: entro il 2030 l’energia solare ed eolica dovranno coprire l’80 per cento del consumo elettrico. E il 2030 è anche la data che segna l’abbandono del carbone. Otto anni prima di quanto si era programmato nel governo precedente. L’obiettivo è chiaro: rendere la Germania clima-neutrale entro il 2045.
Poi arrivano delle novità anche sul fronte della giustizia: il contratto di coalizione si tinge di liberal e si parla, dunque, di legalizzazione della cannabis. Un passo importante che, secondo i liberali, sarà anche un modo per contrastare la criminalità organizzata – che si vede rubare una grossa fetta di profitto. Inoltre si vuole estendere il diritto di voto ai 16enni – una riforma che rappresenta una spina nel fianco della Cdu/Csu, che da sempre si è opposta a questa apertura ai giovani. Non è un segreto che i giovani tedeschi tendono a votare proprio i verdi e i liberali – almeno stando a quanto lasciano intravedere alcuni sondaggi.
Sempre sul fronte della giustizia si è già formata una commissione di esperti che dovrà fronteggiare la pandemia; a guidare i tecnici sarà un generale dell’esercito, un certo Carsten Breuer. Il 56enne, attualmente alla guida del Commando attività territoriali dell’esercito, ha già avuto a che fare con il Covid: l’anno scorso ha gestito gli interventi di svariate migliaia di soldati di supporto negli uffici sanitari pubblici, nelle case di cura e negli ospedali tedeschi. In altre parole: serve un “pugno forte” per risolvere un problema che sta mettendo in ginocchio l’intera nazione.
Sul piano dell’economia e del mercato del lavoro le novità non sono tante e quelle poche, a dire il vero, non suscitano grandi sorprese: la Spd si è battuta per un netto aumento del salario minimo, già annunciato da Scholz in piena campagna elettorale. Per quanto riguarda il caro-affitti i canoni di locazione – in un periodo di tre anni – non dovranno aumentare più dell’11 per cento, almeno nelle zone in cui il mercato immobiliare ha raggiunto livelli critici. Allo stesso tempo la coalizione si impegna a costruire 400mila nuovi appartamenti l’anno, 100mila dei quali saranno finanziati dallo Stato. Tutto qui, almeno per ora. Se si considera che attualmente è soprattutto l’inflazione a fare preoccupare i cittadini, non è un granché.
E poi c’è Christian Lindner, il leader dei liberali, che ha conquistato con forza il ministero delle finanze, un chiaro segno che le politiche di austerità adottate prima della pandemia non avranno fine, visto che i liberali hanno sempre sostenuto una linea dura contro l’indebitamento dello Stato. Se in Italia, dunque, c’era qualcuno che ancora sperava in una svolta nell’austerity, ci ha pensato prontamente Lindner a deluderli. Eppure restano alcuni nodi da sciogliere: nell’era della tecnica, dove tutta la politica è soggetta al paradigma della digitalizzazione e delle nuove tecnologie, forse i cittadini avrebbero voluto contrastare piuttosto che abbandonarsi al “progresso a tutti i costi”. Manca nel contratto di coalizione un capitolo che si occupi delle conseguenze dello sviluppo tecnologico a discapito delle nuove generazioni da una parte e degli anziani dall’altra. Infine il nuovo governo pare dimenticare coloro che non possono partecipare al progresso, vale a dire quelli che perderanno il posto di lavoro proprio a causa della continua razionalizzazione e digitalizzazione dell’industria e del mercato del lavoro. “È una coalizione”, precisa Scholz, “nata per rafforzare la coesione sociale e per rendere migliore il Paese”. Ma Scholz non ci svela la sua ricetta: come vuole rafforzare una coesione sociale se, con probabilità, nei prossimi decenni scompariranno molti posti di lavoro?