Nella foto da sx: Christiane Liermann Traniello insieme al Dr. Andrea Esteban Samà, Console generale a Francoforte.

Intervista a Christiane Liermann Traniello, segretario generale di Villa Vigoni

Christiane Liermann Traniello è venuta a Francoforte per presentare un volume di un’antologia bilingue di articoli scritti da personaggi come il Dalai Lama, Renzo Piano, Massimo Cacciari, Alexander Kluge, Paolo Ferri, Roberto Saviano, Volker Schlöndorff, Carlo Galli, e molti altri ed edito dalla stessa Villa Vigoni.

A chi appartiene Villa Vigoni? Allo Stato tedesco, a quello italiano, o a tutti e due?

Praticamente Villa Vigoni si regge su due colonne. Una è la proprietà: l’immobile appartiene alla Repubblica Federale di Germania; mentre l’attività del centro, che si è dato recentemente il nome programmatico di „Centro Italo-Tedesco per il Dialogo Europeo Villa Vigoni“ è pariteticamente italo-tedesca. La proprietà tedesca risale all’ultima volontà dell’ultimo proprietario privato, che era un certo don Ignazio Vigoni che ha una storia molto affascinante. Nel suo testamento ha deciso -sorpresa totale- di lasciare la sua proprietà di famiglia alla Repubblica Federale Tedesca, che allora era quella occidentale, con Bonn capitale, perché si era nell’anno 1983. Perché lui prende questa sorprendente decisione? Dice nel suo testamento: perché il suo bisnonno era un commerciante di Francoforte che aveva fatto la sua fortuna a Milano e che era stato amico di Goethe e buon conoscente del Manzoni, e per onorarne la memoria lui aveva il piacere di vedere la sua proprietà dedicata a uno scambio fra le due culture.

Ci racconti la storia di questo antenato.

Questo Heinrich Mylius è una figura davvero affascinante, che magari non appare nei manuali di storia, ma dietro le quinte è stato un produttore di reti culturali e diceva: io sono nato a Francoforte, ma Milano è la mia patria elettiva, e qui sono di casa. Ricordando la Paulskirche a Francoforte, Mylius ha cercato di fare da mediatore nel 1848 fra la parte absburgica ed il popolo sulle barricate di Milano. Era amicissimo con Carlo Cattaneo, con cui fonda la Società d’Incoraggiamento Arti e Mestieri che era allora una cosa estremamente innovativa, perché si rivolgeva a giovani di tutti gli strati sociali, quindi c’era un’idea pedagogica, di formazione professionale molto democratica. In più c’era fin da allora questa idea di scuola-lavoro, offrendo lezioni teoriche in questa posizione stabile. Lui era sposato con una signora di Weimar e questa coppia rappresentava un triangolo decisivo per la storia dei nostri due paesi, Milano-Weimar-Francoforte, e grazie alla signora ed ai suoi legami con Weimar loro conobbero bene Goethe, e si può dire che è stato grazie a Mylius, che conosceva bene anche il granduca di Weimar, che Goethe si è interessato del Manzoni, che conosceva già, ma Mylius lo sollecitò a leggere „I promessi sposi“. E Goethe ne rimase colpito, era molto affascinato da questo romanzo storico e lui stesso si interessò per farlo tradurre e scrisse perfino molti articoli su come si dovrebbe tradurre il Manzoni in tedesco. Ora vorrei saltare all’ultima generazione di questa famiglia, che per una vicenda tragica finisce per chiamarsi Vigoni, ma sempre rimanendo lo stesso ceppo, ed a quest’ultimo discendente, che non si era mai sposato, non aveva figli ed eredi diretti, alla fine dei suoi anni venne quest’idea che ai contemporanei sembrava un po’ folle, anche perché lui era stato un IMI, cioè un internato militare italiano, quel gruppo di vittime del Terzo Reich che dopo l’8 settembre fu portato a forza in un lager in Polonia. E mi commuove sempre pensare che quest’uomo, che avrebbe avuto tanti motivi per non amare i tedeschi, però alla fine della sua vita ha voluto donare la villa proprio a loro, però a condizione di crearvi un centro di dialogo pacifico italo-tedesco.

Nel Dopoguerra il Lago di Como era frequentato pure dal primo cancelliere della Bundesrepublik, Adenauer.

Sì, e lui ha conosciuto di persona Adenauer il quale, prima ancora di trovare quella bella villa „La collina“ a Cadenabbia, era venuto ad abitare in una villa a due passi da Villa Vigoni, e così si erano conosciuti, e nelle sue memorie Vigoni scrive come era rimasto impressionato da questo anziano signore che si era proposto di ricondurre i tedeschi, almeno quelli occidentali, verso la civiltà europea, dopo la catastrofe.

Racconti ai nostri lettori dei vostri programmi.

Molto volentieri. In questo momento Villa Vigoni sta terminando un processo che abbiamo chiamato un po’ pomposamente “processo strategico“ perché, in corrispondenza degli investimanti che la proprietaria, la Repubblica Federale Tedesca, sta facendo, abbiamo detto che anche l’associazione italo-tedesca si deve dare una veste un po’ più moderna e focalizzarsi ancora meglio. Questo ha portato a dei risultati interessanti che spero assicurino più influsso a Villa Vigoni in questo momento decisivo, con una dimamica tutta particolare per i rapporti italo-tedeschi, per l’occasione causata dal Brexit, per cui i sei paesi fondatori della Comunità Europea riacquistano una nuova e più forte importanza. E Villa Vigoni vorrebbe dare a ciò il suo modesto contributo. Una delle idee chiave è per prima cosa di diventare più giovani, coinvolgendo le nuove generazioni in questa missione. Ci sono tanti giovani europei bravissimi, impegnatissimi, attivi. Credo che il dialogo bilaterale, soprattutto quello italo-tedesco, per l’Europa sia d’importanza esistenziale. Non tutto si può svolgere a Bruxelles. Quindi vorremmo coinvolgere più massicciamente, programmaticamente i giovani affidando loro la staffetta della Villa Vigoni. E poi un altro tema programmatico è la sostenibilità. Per fare un esempio banale, la cucina a chilometro zero: perché far venire la carne dall’Argentina, quando la migliore l’abbiamo nel Piemonte? E pure con i formaggi, eccetra. Quindi vogliamo essere molto attenti alle questioni riguardanti la sostenibilità, e questo include anche l’idea di essere noi più sostenibili pure nei programmi. Benché Villa Vigoni sia già conosciuta, bisogna individuare dei pilastri concettuali e programmatici per cui, chi ne sente pensi subito „Aha, Villa Vigoni!“.

Può spiegarci più precisamente il progetto che state svolgendo con l’Università di Francoforte?

È appunto una delle iniziative che servono allo scopo di coinvolgere più massicciamente i giovani. C’è stata una costellazione molto felice, per cui all’Università di Francoforte è stato fondato l’Italien-Zentrum, il direttore tra l’altro è un mio caro amico, lo storico Christoph Cornelissen, che non solo è cattedratico qui a Francoforte, ma anche direttore del Centro Storico Italo-Germanico a Trento, che pure ha una lunga storia di scambio italo-tedesco, ed a questa si è aggiunta un’altra amicizia che invece lega Villa Vigoni e la Goethe-Universität con l’attuale governo del Land Assia. Così è nata questa sinergia in un momento all’inizio della pandemia in cui abbiamo detto: i rapporti italo-tedeschi sono a terra. C’è tanta delusione da parte italiana, tanto disappunto per la solidarietà mancata, dobbiamo fare qualcosa. Allora abbiamo creato questo progetto dei Goethe-Vigoni-discorsi che va ben oltre il volume stesso, ma che prevede anche di fare una serie di conferenze di studiosi e studiose italiani a Francoforte, e viceversa di mandare dei docenti di Francoforte a qualcuna delle grandi università di Milano con cui siamo in buoni rapporti.

In Italia sembra esistere un malanimo sotterraneo contro la Germania, che talora esplode alla minima occasione. Cosa pensa di questo assurdo scandaletto sollevato in Italia a proposito di un articolo commemorativo su Dante apparso su un grande quotidiano tedesco, e gonfiato da persone che non avevano neppure letto l’innocente originale?

Io pure ho letto l’articolo su Dante, che forse era un po’ pignolo, ma non c’era niente d’infondato. C’è molto da lavorare, assolutamente. Anche la ricezione del cinema è un esattissimo indicatore di queste sensibilità. Ad esempio, a metà degli anni `80 uscì in Germania un film del comico Gerhard Polt di Monaco „Man spricht Deutsch“, che agli occhi dei tedeschi era super-autoironico verso il loro comportamento, una spietata presa in giro verso una loro tipologia come turisti di massa, mentre da parte italiana fu visto come una spaventosa offesa fino al punto di convocare l’ambasciatore federale a Roma. Questa è un po`una breccia dove Villa Vigoni tenta di agire. Io non mi considero neanche più né tedesca né italiana, ma qualcosa di mezzo. Sono sposata con un italiano e piglio il meglio delle due culture, così m’illudo. Ma mi sembra che ci sia tradizionalmente un’asimmetria nelle reciproche percezioni.

Una volta ho letto questa definizione: „Gli italiani rispettano i tedeschi ma non li amano. I tedeschi amano gli italiani ma non li rispettano“.

Sì, sono perfettamente d’accordo su questo, che corrisponde purtroppo alla mia esperienza, e questo io rimprovero ai tedeschi: di fare grandissima fatica a rendersi conto che lo sguardo degli italiani verso la Germania non è simmetrico al loro verso l’Italia, e forse qui Villa Vigoni per i giovani qualche cosina di maggiore sensibilità si può ottenere. Magari tra Francia e Germania la situazione è diversa, anche per motivi storici. I tedeschi hanno verso l’Italia un affetto più istintivo, anche sulla traccia di Goethe, ma in fondo -permettimi di dire- è anche una visione un po’ kitsch dell’Italia, mentre nel momento in cui cominciamo a parlare dell’Italia politica, per esempio anche alla Adenauer-Stiftung di Cadenabbia, fanno enorme fatica ad immaginare l’Italia come un partner politico, benché si tratti di uno dei più importanti partner europei. Questo è il mio rimprovero verso la parte tedesca. Mentre verso la parte italiana, mi sembra che spesso ci sia infelice combinazione tra considerarsi vittime e sentirsi attaccati quando l’intenzione non era questa. E scatta un meccanismo secondo cui noi italiani possiamo dircene fra di noi di tutti i colori, ma guai se quelle stesse critiche, anche in maniera più moderata, ce le sentiamo ripetere da un tedesco. Ma non si tratta di stabilire „tu hai ragione, tu hai torto“, quanto piuttosto parlare di queste percezioni così diverse.

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