Sono questi ancora periodi di grande disagio, però legati anche alla riscoperta di cos’è la normalità, di quanto è importante. Diamo per scontati aspetti molto preziosi, l’informalità, tutta la magnifica socialità della nostra realtà. Ora però guardiamo la città non più come un posto da usare con fini funzionali, ma anche da godere.
Tutto ciò probabilmente è un effetto positivo di questo momento per altri versi così complesso. Se c’è una cosa che ci resterà impressa di questo, speriamo non momentaneo, ritorno alla normalità, è l’insopprimibile desiderio di aggregarsi, fare massa, gruppo, congrega, stare a gomito, fitti, ammassati, limitati nei movimenti. L’essere umano scopre, dopo aver ricercato con tutti i mezzi (e il denaro in questo senso aiuta parecchio…) degli spazi esclusivi, che la cosa che sembra essergli mancata di più è lo stare assembrati e sudati sotto una tettoia a bere birra e a guardare insieme in tv una partita di calcio. Improvvisamente gli altri esseri umani, sempre troppi, troppo rumorosi, molesti, fastidiosi, diventano un’imperdibile occasione di socialità, a prescindere dalla loro qualità umana e dall’empatia. Sono altri da noi (che dopo tanto isolamento ci siamo pure venuti un po’ a noia…) e tanto pare bastare.
Caso mai servisse ancora dimostrare che l’essere umano è fondamentalmente un animale da branco e in branco anela nel suo profondo a stare, anche quando sembra ricercare tutt’altro. Ad esempio, i vicini, guardati in cagnesco fino a prima del lockdown, con le limitazioni di spostamento, si sono trasformati in una golosa occasione di scambiare due chiacchiere, fare un aperitivo da un balcone all’altro, azzardare persino una partita a carte se si possiede un tavolo abbastanza grande da garantire la distanza di sicurezza.
I giovani premono per riavere i concerti e le discoteche, non tanto per la mancanza della musica, fruibile in altre mille modalità, ma perché discoteca e concerti rappresentano essere uno di tanti e tanti sono meglio di uno. Guarderemo mai più il nostro prossimo allo stesso modo? Perché se è vero che potenzialmente chiunque può diventare l’untore e quindi la prudenza consiglierebbe di schivarlo quanto più possibile, è altrettanto vero che il prossimo ci manca, più di quanto avremmo mai pensato. Lo si capisce dall’enfasi con cui le persone sono tornate al bancone del bar per un caffè, a chiacchierare con il panettiere, a fare la coda alla posta: distanti, ma con la voglia di accorciarla questa maledetta distanza, fosse anche solo alzando il tono di voce o scambiando commenti con perfetti sconosciuti.
Ne usciremo diversi, per sempre e speriamo che al contrario di quanto la storia ci ha dimostrato, che avremo imparato qualcosa e ce lo ricorderemo pure…
A livello sociale, questi fenomeni hanno strani rimbalzi. Può darsi anche che portino a un aumento del tasso di socialità. Potrebbe esserci una sorta di “effetto Decamerone”, con la riscoperta della preziosità della vita in un periodo segnato da un’epidemia – in quel caso era la peste – Anche oggi potrebbe esserci un effetto di questo tipo. In Cina, per esempio, dicono sia stato registrato un effetto molto forte, online, di ripresa di una certa ironia, della voglia di raccontare, di raccontarsi, da parte di chi è in isolamento. Non è detto avvenga una compressione del sociale. In queste fasi, in cui si esce dalla routine, è probabile avvenga la scoperta di un aspetto non direttamente funzionale della socialità. Poi, certo, tutto ciò va calcolato insieme al fatto che la gente esce di meno, si incontra di meno, ma nell’insieme spesso, negli stati d’emergenza, oltre agli aspetti molto negativi, ce ne sono anche di più positivi. Ci si sente accomunati da qualcosa, molto più di prima, e se da metà ottobre in Italia gli statali ritorneranno a lavorare in Ufficio, allora tutto ciò porterà normalità e socialità.