La Venezia dei fondachi
Dire “fondaco” un tempo era evocare un grande edificio con locali pieni di mercanzie di ogni tipo, gente che andava e veniva, carichi in arrivo ed in partenza, un formicolio di colori e di fogge di vestiti, un intrecciarsi di lingue diverse, un mescolarsi di esperienze e di culture. I fondachi erano i luoghi di incontro e di scambio dove la vita ferveva al massimo, nelle più grandi città di mare, luoghi che nel tempo potevano estendersi, grazie a nuovi magazzini ed a famiglie che si stabilivano negli stabili contigui, e diventare un quartiere, con tanto di chiesa ed ospizio, governato da un balivo, giudice nelle controversie di natura economica.
A Venezia in particolare, oltre al già ricordato e tuttora famoso Fondaco dei Tedeschi od a quelli riservati a particolari prodotti come il Fondaco del Megio (miglio), prosperavano quelli che assicuravano i contatti con i mercanti orientali.
Il Fondaco degli Arabi
Si ricorda un originario Fondaco degli Arabi o dei Saraceni, che ha lasciato tracce significative nel Campo dei Mori, dove “un antico corpo di fabriche, che si stende dal Rio della Sensa a quello della Madonna dell’Orto, porta incastonate nelle muraglie tre statue d’uomini vestiti all’orientale, forse gli avanzi dell’antico Fondaco dei Mori” (Tassini, Curiosità veneziane). Quasi tutti gli edifici del Campo e delle vicinanze appartenevano alla famiglia Mastelli, ricchi mercanti di origine levantina, e, secondo la tradizione, sarebbero proprio tre esponenti della famiglia, però provenienti dalla Morea, regione del Peloponneso, quelli rappresentati nelle statue. Si conoscerebbero anche i loro nomi, Rioba, Sandi e Alfani, legati a leggende non proprio benevole nei loro confronti, come quella della vedova da loro “gabbata” in un rapporto commerciale, che li avrebbe ripagati con tre monete magiche, dal potere di pietrificare chi li riceveva.
Altri segni della presenza “araba” si trovano sulla facciata di Ca’ Mastelli, che si affaccia sul Campo dei Mori: una formella trecentesca che rappresenta un uomo in abiti orientali che conduce un cammello (dromedario) ed una fontanella arabeggiante alla base del palazzo. La leggenda in questo caso spiegherebbe come il rilievo del cammello fosse voluto da un ricco proprietario egiziano, perché la donna che l’aveva rifiutato, in caso di pentimento, riuscisse a trovare più facilmente la sua casa.
Il Fondaco dei Turchi
Nel sestiere di Santa Croce, in posizione prestigiosa e suggestiva si colloca il Fontego dei Turchi, con prospetto sul Canal Grande, uno dei palazzi più antichi, che secondo gli studiosi dell’Ottocento aspirava a diventare uno dei quattro monumenti più importanti della città (con la Basilica di San Marco, il Palazzo Ducale e la Basilica di San Donato a Murano). Un lungo porticato terreno con 10 arcate a tutto sesto, un tempo funzionale allo sbarco delle merci, un loggiato soprastante di 18 arcate sempre a tutto sesto, chiuso ai lati da due torreselle (pseudo torri), un’impressione di leggerezza dovuta alla prevalenza dei vuoti sui pieni, una visione d’insieme armoniosa.
E dire che quella commerciale non era stata la destinazione originaria dell’edificio, costruito nel 1227 dalla famiglia Palmieri di Pesaro, ma passato in seguito di proprietà in proprietà (Repubblica di Venezia, Estensi di Ferrara, Ambasciata di Spagna, Cardinal Aldobrandini, famiglia Priuli), rimaneggiato, ampliato, ricostruito, finché nel 1621 non fu destinato a Fondaco per la comunità dei mercanti turchi. E tale funzione diede il nome al palazzo, per il suo forte potere evocativo, che consegna l’edificio al ruolo di testimone di una fase di intensi scambi con il vicino Oriente. Nonostante l’onda lunga della battaglia di Lepanto (1.571), che al di là della vittoria aveva lasciato a Venezia pesantissimi debiti da pagare, nonostante la perdita dell’isola di Cipro, nonostante la “guerra dei corsari” (ma vi partecipavano anche navi turche), che costituiva una grave minaccia per i commerci veneziani, nonostante il crescente interesse dei Turchi per l’isola di Creta, Venezia aveva cercato con esiti altalenanti si tenere in vita gli accordi con il governo ottomano, per salvaguardare i commerci con il Levante, ancora predominanti per l’economia veneziana.
Così il Fondaco dei Turchi aveva potuto continuare nella sua intensa attività, commerciando in particolare spezie, stoffe e pellami, adibendo a magazzini ed a sale riservate a moschea ed al bagno rituale il piano terreno, e ad alloggi i piani superiori. Fino al 1740, quando i Turchi furono costretti a lasciarlo alla Serenissima per consentire lavori urgenti imposti dal declino dell’edificio. Ma forse era cresciuta anche la reciproca diffidenza ed il sospetto che “i Turchi residenti nell’edificio avrebbero potuto spiare la città”.
I successivi restauri
Ormai il Fondaco dei Turchi era ridotto a deposito di materiali edili e da ultimo a Manifattura tabacchi. Nel 1859 ridivenne proprietà del Comune di Venezia, che, con il contributo del governo austriaco e sotto la pressione degli uomini di cultura del tempo, che da tempo lamentavano il vergognoso degrado in cui era lasciato l’edificio, promosse un importante lavoro di restauro, affidato all’ingegnere comunale Federico Berchet, perché nonostante le condizioni di abbandono, quel palazzo restava “un esempio unico nel panorama dell’edilizia civile veneziana”. Come destinazione d’uso in un primo momento si pensa ad “un nuovo splendido ritrovo di principi ricevuti da principi con magnificenza sovrana”, ma poi, la necessità di avere nuovi spazi espositivi per le collezioni civiche fa propendere per una scelta museale. I lavori diretti dal Berchet, volti a riedificare l’edificio nella sua identità originaria, in particolare la sua facciata monumentale curata negli aspetti decorativi, si concludono nel 1869.
Negli ultimi anni del secolo scorso e nel primo decennio di quello attuale si procede ad un ulteriore restauro, diretto da Eugenio Vassallo, al fine di limitare il processo di degrado ma soprattutto per ridare nuove funzioni agli spazi interni ed integrare la parte impiantistica. Così nel marzo del 2010 viene inaugurato il nuovo Museo di Storia Naturale, che raccoglie in nuove e più moderne associazioni la collezione entomologica Giordani Soika, la raccolta naturalistica Bisacco Palazzi, la collezione malacologica Cesari, la collezione ornitologica parale e la collezione Ligabue con reperti fossili. Così è stato consegnato ai posteri, in una nuova funzione, quel magnifico edificio conosciuto con il nome di Fondaco dei Turchi.