Forse non tutti sanno che… L’“orrenda setta“ dei montanisti
Degli innumerevoli turisti che vanno in vacanza sulle coste della Turchia, ben pochi prendono l’iniziativa di staccarsi dai centri sovraffollati per inoltrarsi nei paesaggi segreti dell’Anatolia, più ricchi di sorprese archeologiche perfino dell’Italia…
Una delle scoperte più interessanti degli ultimi anni è stata la città sacra di Pépuza, operata da un team di archeologi tedeschi-americani che è riuscito finalmente a far luce su di un enigma occultato da 15 secoli. Il loro lavoro scientifico è descritto in un volumone dei due professori Peter Lampe & William Tabbernee: The Discovery of a Lost Ancient City and Imperial Estate / de Gruyter 2007.
Già nel tardo ‘800 un indefesso inglese, sir William Ramsay, aveva percorso l’antica Frigia in lungo e in largo, alla ricerca della fantomatica Gerusalemme della Nuova Profezia, Pépuza, Πέπουξα, la città maledetta da tutti: pagani e cristiani, da vescovi, papi e imperatori, nonché da alcuni (non tutti, come vedremo) padri della Chiesa.
Ramsay non riuscì a trovarla, benché probabilmente nel suo girovagare si fosse imbattuto nelle gole del Benaz. Una struttura geomorfologica di tale imponenza è difficile che gli sia sfuggita; ma forse non riuscì a cavallo ad affrontarne i precipizi. Anche altri esploratori fallirono, tanto che si cominciò a pensare che gli antichi codici fossero errati, e che la leggendaria città fosse solo una chimera.
E invece no: grazie a Tabbernee e Lampe si è appurato che essa è realmente esistita, e dove. In fondo a un canyon dirupato e inaccessibile erano andati a nascondersi, gli adepti della setta montanista, per mettersi al riparo dalle persecuzioni da parte dei pagani e degli altri cristiani.
Ma chi erano costoro?
Sull’eresia montanista esistono purtroppo poche fonti; qui segnaliamo una monografia di Vera-Elisabeth Hirschmann: Horrenda Secta / Franz Steiner Verl. 2005. Secondo i padri della Chiesa il loro profeta, il misterioso Montanus, era stato un sacerdote del famoso tempio di Cibele a Pessinunte, uno di quelli che nel giorno del sangue, il Dies Sanguinis, si castravano danzando in onore della Grande Madre della Montagna, la Matar Kubeleya, ovvero la dea Cibele. San Girolamo lo qualifica come abscissus et semivir (mutilato e uomo a metà). Si presentava sempre in compagnia di due donne di ceto elevato, Maximilla e Priscilla, che egli aveva „cristianamente risvegliato“ e che avevano abbandonato le loro famiglie per seguirlo dovunque, come due Eloise per un Abelardo.
Fece la sua apparizione intorno al 150 d. C. In un villaggio chiamato Ardabau, o Ardaban, che oggi non si sa più dove fosse. Con trasporti estatici annunciò il prossimo compiersi delle profezie escatologiche con la discesa della Gerusalemme Celeste come un disco volante, davanti alle porte di Pépuza. La gente era trascinata dall’intensità delle sue visioni, bande di esaltati accorsero verso il luogo della rivelazione. Ma i cieli rimasero muti e la fine del mondo non venne.
No problem: i tre continuarono a predicare e ad avere visioni a briglia sciolta, mentre la febbre apocalittica straripava nel Ponto e nella Bitinia, nella Galazia e in Cappadocia, e di lì in Africa, nelle Gallie ed a Roma. La sua capitale era però Pépuza, e Montanus la governava come un re degli ultimi giorni. Quando morì di vecchiaia poteva dirsi succesful come certi predicatori americani, e per i suoi funerali accorsero stuoli di pellegrini piangenti che lo volevano santo subito. La sua tomba, assieme a quelle delle due profetesse, fu consacrata in un santuario di Pépuza e continuò per secoli ad esser meta di pellegrinaggi da ogni parte dell’impero. I suoi successori, detti „catafrigi“, continuarono a predicare la fine dei tempi, e le masse a crederci, benché venisse di volta in volta procrastinata. L’emozione dell’estasi profetica contava di più del suo adempimento. Ma nello stesso tempo aumentavano pure i nemici: l’episcopato orientale li accusò dello scempio esegetico degli scritti giovannei, e mandò degli esorcisti a Pépuza.
Che cosa c’era, nella loro dottrina, che conturbava così profondamente le gerarchie ecclesiastiche?
Purtroppo i documenti originali sono andati perduti, e tutto quello che sappiamo sul montanismo proviene dagli attacchi degli avversari ortodossi. I montanisti, dal canto loro, si consideravano cristiani ortodossi in tutto e per tutto, e come tali furono perseguitati dai pagani. Assieme agli altri cristiani affrontarono il martirio dando tanta prova di coraggio, da suscitare l’ammirazione di Tertulliano. Non rifiutavano il Vecchio Testamento come faceva Marcione e riconoscevano i vescovi quali legittimi successori degli apostoli; il guaio era che riconoscevano pure le loro profetesse come legittime eredi della Maddalena. La pietra dello scandalo era dunque la posizione riservata nella loro chiesa al gentil sesso. Lei, Maria di Magdala, era, secondo Montanus, superiore agli apostoli, poiché Gesù risorto era apparso per prima a lei, e non a loro. E lei aveva compreso il miracolo della resurrezione molto prima che gli altri se ne convincessero a fatica. Quindi nel Vangelo la sapienza femminile è superiore a quella maschile, e quindi le profetesse erano superiori ai vescovi, ai quali spettavano, con tutto il rispetto, solo i compiti amministrativi. Le rivelazioni che le profetesse ricevevano durante le loro morbide estasi contavano più dei dogmi, pur non essendo in contrasto con essi. Il montanismo era una religione estatica, come certi culti Candomblé in America Latina. Qualsiasi fedele partecipasse al rito poteva esserne protagonista, quando cadeva in stato di trance danzando in circolo: la Natura Divina entrava in lui, ed egli ne esperiva direttamente. E questa esperienza era aperta a tutti, democraticamente: perciò la partecipazione era grandissima.
Non era come nel rituale ortodosso, dove la Divina Sapienza era monopolio d’un clero (maschile) ufficialmente autorizzato, che lo comunicava secondo formule ripetitive ai fedeli seduti sui banchi come tanti scolaretti. Per questo il montanismo s’infiltrava dovunque l’irrigidirsi delle gerarchie ecclesiastiche rendeva il loro messaggio sempre più arido. La carica adrenalinica trasmessa dalla haeritica pravitas (eretica perversità) faceva rizzare i capelli ai teologi, perché imponeva la parificazione dei sessi in tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica: da semplice prete*essa ad arcivescovo*va. Per eventuali papesse, non c’erano pregiudiziali. Questo voleva dire (orrore!) che i maschi avrebbero finito per inginocchiarsi davanti alle femmine, il che era contrario alla cosiddetta „natura umana“. E come se non bastasse, c’erano pure delle „madri della Chiesa“ che osavano scrivere trattati di teologia che facevano concorrenza a quelli maschili!
Cosa ci sarà stato scritto di così insopportabile?
Purtroppo sono stati tutti ridotti in cenere e sparsi al vento. Sappiamo solo che osavano esaltare Eva come madre dell’umanità. Anche per il ruolo di Redentore*trice vigeva la parità dei sessi: che Dio vada a incarnarsi in una donna è una trovata del film satirico Dogma, ma i montanisti lo credevano seriamente. Come tutti i cristiani „perbene“, i montanisti ammettevano, confermemente alle Sacre Scritture, che Nostro Signore Jesus Christus era venuto al mondo con il sesso maschile. Però, confermemente a una profezia di Priscilla, essi aspettavano che per la sua seconda venuta Egli/Ella avrebbe assunto l’altro sesso, e quale „Jesa Christa“ avrebbe giudicato i vivi ed i morti. Su questo punto le Sacre Scritture non sono esplicite, come pure sul sesso degli angeli, e quindi, se a Pépuza ci fosse stato un grande artista come Michelangelo, possiamo figurarci che giudizio universale avrebbe dipinto. Un’orrenda setta, dunque, dal punto di vista ortodosso, eppure ci furono dei padri della Chiesa che li difesero a spada tratta: Sant’Ireneo di Lione, autore d’un trattato molto acribico Contro le eresie, non ce li nomina neppure e pare che ne abbia perorato la causa davanti al papa. E poi Tertulliano li apprezzò al punto tale da rischiare uno scisma. Così nei secoli successivi il montanismo continuò a diffondersi, finché l’imperatore Giustiniano accolse il grido di dolore lanciatogli dal vescovo di Mileto: l’infernale eresia stava imperversando in città, e senza il suo intervento presto una femmina si sarebbe seduta sulla cattedra vescovile. Giustiniano decise di porre fine una volta per tutte allo scandalo di quel „cristianesimo alternativo“. Ma mentre gli imperatori pagani usavano convocare i credenti sospetti in tribunale, quelli cristiani mandavano direttamente il boia a casa. Le truppe imperiali s’introdussero nel canyon, assalirono Pepuza e la misero a ferro e fuoco; bruciarono i libri eretici delle eretiche, le strapparono dagli altari, confiscarono le loro proprietà, devastarono le tombe veneratissime dei fondatori. Possiamo immaginarci scene di tregenda come nel finale del film Mission con Robert De Niro e Jeremy Irons. Costruire Hagia Sophia davanti al palazzo imperiale di Costantinopoli e contemporaneamente cancellare Pépuza dalla faccia della terra, furono due atti del disegno accentratore del potere di Giustiniano. Quattro secoli di tradizione culturale furono cancellati d’un sol colpo. Correva il 550 d.C. Da quel momento in poi, i vescovi poterono esser di tutto: signori feudali, cortigiani, politici senza scrupoli, feroci guerrieri, spietati inquisitori, traditori, sibariti, usurai, imbroglioni, filonazisti, pedofili… Ma non femmine.