Storie di successi italiani in Germania
Tutti noi prendiamo per ovvio tutto quello che conosciamo dalla nascita, e l’esperienza forse più ovvia è che tutti i corpi pesanti (compreso il nostro) cascano a terra. Eppure, a pensarci bene, non è affatto ovvio, ed a rifletterci sopra sono state numerose grandi menti, da Aristotele a Galileo, a Newton, ad Einstein. Quel fenomeno fisico chiamato „gravità“ ancora oggi, pur essendo ben caratterizzato nella fisica classica, presenta aspetti assai enigmatici, da lasciare sconcertate le menti scientifiche più brillanti. Ultimamente hanno fatto scalpore due eventi quasi contemporanei, la scoperta delle onde gravitazionali (previste da Einstein un secolo fa) e la prima immagine di un buco nero (previsto da Schwarzschild come corollario della teoria della relatività, pure un secolo fa). A questo risultato ha dato un contributo determinante un fisico italiano, Luciano Rezzolla, che è titolare della cattedra di astrofisica relativistica e direttore dell’Istituto di Fisica Teorica presso la Goethe- Universität di Francoforte sul Meno. Nativo di Milano, ha studiato fisica nelle università di Bari e di Trieste, e dopo aver prestato servizio per un anno come ufficiale in un sommergibile della Marina Militare Italiana, ha proseguito la sua carriera scientifica al SISSA (Scuola Superiore di Studi Avanzati) di Trieste. L’anno scorso ha vinto il Niko-Klaus-Preis per le sue eccezionali capacità didattiche. È anche autore di due libri, uno terribilmente specialistico: „Relativistic Hydrodynamics“ (2013), e l’altro apertamente divulgativo: „L’irresistibile attrazione della gravità“ (Rizzoli 2020).
Come ha scoperto la Germania?
Circa 30 anni fa, quando ero un giovane studente a Bari, ho scoperto mia moglie che è tedesca: la tipica situazione della turista tedesca in vacanza in Italia che s’innamora. Ci siamo sposati 25 anni fa e poi siamo andati in giro per il mondo, negli Stati uniti per molti anni, poi siamo tornati a Trieste perché ho avuto un posto di professore alla SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati), e poi ho avuto un’offerta da un Max-Planck-Institut per prendere la guida di un gruppo di ricerca. Gli istituti Max Planck sono dei posti ideali per far ricerca, ci sono un sacco di fondi e grande flessibilità. Sebbene io fossi molto contento di stare in Italia, mia moglie era tedesca ed i miei figli parlavano il tedesco in casa, abbiamo provato questa opzione, siamo venuti in prova per un anno e ci siamo trovati bene. La nostra famiglia è internazionale, parliamo tedesco, inglese e italiano.
E cosa faceva al Max-Planck-Institut?
Ero a capo dell’unità di relatività numerica al Max-Planck-Institut für Gravitationsphysik a Potsdam che si occupava di stelle di neutroni e buchi neri. Vi sono rimasto molti anni, ho una casa qui e vengo a trascorrervi il fine-settimana.
Dunque quello è stato fin dall’inizio il suo tema?
Più o meno. Mi sono occupato principalmente di cosmologia, e le stelle di neutroni e i buchi neri sono manifestazioni molto immediate della gravità.
Si è trovato bene pure in America?
In America sono stato in Illinois, a Urbana Champaign, che è un campus molto fasmoso a circa due ore di macchina da Chicago, che ha un dipartimento di fisica molto, molto forte: ci sono tre premi Nobel. Ci siamo trovati bene, eravamo una piccola famiglia con una figlia appena nata. È stata un’esperienza positiva: Urbana Champaign è il tipico campus americano in mezzo al niente, e nell’Illinois questo significa campi di soia e granturco a perdita d’occhio. È una maniera diversa di fare scienza, perché punta direttamente a un obiettivo, che funziona perché in base a finanziamenti molto mirati, una ricerca quindi finalizzata a degli scopi. In Germania la possibilità di avere dei fondi permanenti, come quelli che ho adesso io, mi dà molta più libertà, posso magari pensare ad una ricerca a più ampio raggio, che non porta immediatamente a dei risultati.
Quindi la ricerca in Germania è più flessibile?
È decisamente più flessibile. Ci sono anche in Germania possibilità di fare ricerca in base a progetti precisi, ed in quel caso bisogna rispettare i progetti e produrre risultati entro tempi determinati. Però nel modello tedesco, al momento in cui una persona riceve una cattedra, riceve una serie di fondi a livello permanente, che quindi non sono finalizzati a un progetto preciso, sono dati ad personam con l’idea che ne farà un buon uso, mentre in Italia, come nel mondo americano, i fondi di ricerca devono venire rinnovati in continuazione, quindi questo crea una focalizzazione nella ricerca che non è necessariamente male. Il sistema americano è contrapposto d’altro canto al sistema francese, in cui la ricerca è assolutamente libera, non ci sono canali di finanziamento che viene fatta nei centri di ricerca entro i quali la gente viene assunta molto giovane, e con dei fondi permanenti senza dover necessariamente competere, e questo permette di dar vita a progetti di lungo respiro. La Germania tenta un compromesso: da un lato ci sono i fondi permanenti, dall’altro i finanziamenti mirati.
E da quanto tempo si trova a Francoforte?
Dal 2013 ho assunto la cattedra di astrofisica teorica. Io ho trovato questo passaggio estremamente piacevole, un’esperienza molto positiva, perché mi piace insegnare, vedere gli studenti. All’interno di un Max-Planck-Institut è vero che si può fare molta ricerca, ma si sta un po’ isolati, come in una torre d’avorio. A me invece fa piacere avere a che fare con i giovani, ricevere il loro entusiasmo, e cercare di trasmettere il mio: è come una sinergia. Francoforte è un’ottimo posto come università, la città mi piace anche molto, quindi la mia è stata una buona decisione.
Se Le piace tanto il contatto diretto con gli studenti, adesso si troverà parecchio inibito per colpa del Covid.
In effetti non è assolutamente piacevole fare lezione attraverso uno schermo, e gran parte del divertimento è perso. Il mio motto, un po’ sarcastico è che adoro fare lezione, ma odio prepararle. Preparare una lezione è sempre uno sforzo notevole, che ad anni di distanza ancora mi prende la notte del giorno di lezione, però questo è compensato dal piacere di stare in aula a spiegare alla lavagna e ad interagire con gli studenti. Adesso questo non è più possibile, quindi la parte positiva non c’è più, quella negativa è rimasta. Detto questo, ho cercato di reinventarmi negli ultimi due semestri un modo di far lezione attraverso uno schermo, sto sperimentando una formula in cui c’è una serie di lezioni registrate più una dal vivo, e questo sembra molto apprezzato dagli studenti, tanto che ho ricevuto un premio di eccellenza nell’insegnamento alla fine dell’anno scorso.
Le piace esporre la materia, l’unico problema è come esporla.
Non bisogna aveva inibizioni a porre domande, questo lo dico agli studenti all’inizio del corso. Non ci sono domande stupide, ingenue o sbagliate. Dico anche ai ragazzi che hanno il privilegio di trovarsi in un sistema sociale che garantisce loro istruzione universitaria ad un costo ridicolo, a differenza dei loro colleghi americani e di altri continenti. E non devono buttarlo via, e il modo migliore non è soltanto studiare, ma assicurarsi di aver compreso interamente quello che hanno a disposizione.
Come Le è venuto il proposito di scrivere il Suo ultimo libro?
Quella di scrivere un libro è un’idea che avevo da molto tempo. Fondamentalmente quest’idea rispondeva all’esigenza di spiegare meglio a chi mi è vicino, ma non è scienziato, cosa sia la gravità. È per questo che ho scritto il libro avendo come lettori di riferimento i miei genitori, che sicuramente non sono scienziati, ma che hanno uno spiccato senso della cultura e della conoscenza. Questo mi ha aiutato nel dosare la quantità d’informazione matematica -che è pur indispensabile in fisica- con quella più descrittiva. Il risultato che spero di aver raggiunto è quello di un libro che sia leggibile da tutti e consenta a tutti di avvicinarsi alla gravità. Come è inevitabile che sia, certi concetti saranno forse di più facile assimilazione per chi abbia un’istruzione scientifica. Per inciso, i miei genitori ultraottantenni l’hanno letto e l’hanno trovato interessante e piacevole.
E quanto ci ha messo a scriverlo?
Come sempre accade per le mie cose, l’accavallarsi di impegni professionali mi ha costretto a scrivere il libro solo a ridosso della scadenza contrattuale. Ho quindi dedicato ad esso una buona, ma non esclusiva parte dell’estate scorsa.