Duilio Zanibellato è presidente delle Acli-Germania, ha trascorso una vita nell’associazione dei lavoratori cattolici italiani, aveva fatto parte già in passato della presidenza sia federale che regionale del Baden-Württemberg, dove le Acli sono da sempre molto presenti e radicate nel territorio. Questo è un periodo difficile per le vostre attività che svolgete online, come fate per esempio con i patronati?
Le nostre sedi di patronato sono parzialmente in attività, tutti in homeoffice. Ci sono delle presenze limitate negli uffici, non abbiamo apertura al pubblico. Questa è una pesante limitazione. Anche alcuni dei nostri operatori fanno orario ridotto di lavoro per questi motivi.
Quante sedi di patronato avete attualmente?
Otto: Stoccarda, Ulm, Monaco di Baviera, Francoforte, Karlsruhe, Colonia, Wuppertal e Wolfsburg. Augsburg e Friburgo praticamente non ci sono più, se qualcuno ha bisogno c’è una segreteria che mette in collegamento con la sede più vicina. Per i servizi che offriamo, oltre all’assistenza per le pensioni, e che sono servizi sociali del consolato, non riceviamo alcun contributo statale che servirebbe invece a mantenere il personale e le sedi. E qui insistiamo a far sì che ci sia un tipo di riconoscimento, da parte dello stato italiano, di questa presenza e servizio che i patronati svolgono.
Com’è la collaborazione con le diocesi tedesche?
Nel passato le collaborazioni erano più diffuse in tutte le diocesi e c’erano forme di sovvenzionamento come affitti agevolati, spazi messi a disposizione gratuitamente. Però le riorganizzazioni nelle diocesi, parlo in particolare di Rottenburg-Stuttgart, hanno penalizzato questo tipo di rapporti. Le Acli sono comunque parte del KAB (Katholische Arbeitsbewegung), non siamo isolati. Sono state fatte in passato iniziative comuni sul commercio mondiale, sul lavoro, sulla pace. Siamo dentro all’organizzazione sul il lavoro precario o non protetto nelle imprese edilizie. Però vedo qui a Stoccarda, il coinvolgimento da parte delle diocesi rimane un po’ come nelle anche parrocchie, c’è il noi e il voi.
Ci sono state begli ultimi dieci anni dei tagli finanziari che vi hanno penalizzato. Anche l’Enaip di cui è stato presidente è stato chiuso nel 2010. Tuttavia non si può nascondere che le Acli, come ogni forma di associazionismo, in particolare l’associazionismo cattolico, stanno vivendo un periodo di crisi, perché?
Gli associati sono calati in modo spaventoso in questi anni, cinque anni fa erano 3.000, oggi arriviamo a un migliaio. Se i circoli erano una quarantina, con una presenza diffusa sul territorio, oggi sono sedici. La nuova emigrazione non è neppure accostabile a quella che abbiamo vissuto nei decenni passati. Dobbiamo capire qual è il nostro ruolo in una società migratoria diversa. Un tema grosso è la digitalizzazione. Avevamo dedicato il congresso delle Acli Germania nel 2018 all’industria 4.0. Dobbiamo scoprire nuove forme, nuovi messaggi, per avere la capacità di incidere e rispondere alle esigenze dell’oggi. Il nostro compito, è essere nella società nel mondo un elemento di socializzazione, di educazione e di promozione della crescita delle persone.
Che cosa state facendo per capirlo?
Vorremmo formare operatori sociali, animatori di comunità per trovare nuove strade per coinvolgere e creare comunità. Il cambiamento negli ultimi anni è stato così rapido e non siamo riusciti a dare delle risposte immediate. Facciamo cose interessante nei confronti della nuova emigrazione però ci accorgiamo che dobbiamo fare un passo ulteriore.
A che cosa si riferisce?
Qui a Stoccarda, in Baden-Württemberg abbiamo partecipato alla creazione di un centro informazione di consulenza per la nuova immigrazione. Poi c’è un progetto rivolto alle giovani famiglie, in particolare alle mamme, FamigliAmore, tenuto da una psicologa, per prendere contatto con le mamme arrivate da poco affinché non si sentano abbandonate.
Quest’anno si sta svolgendo a tappe il XXVI Congresso nazionale delle Acli italiane. A febbraio è stato eletto Emiliano Manfredonia, classe 1975, nel suo saluto ha detto: “Potere è prima di tutto un verbo: poter servire, poter fare, poter fare bene, cerchiamo di farlo tutti insieme per le nostre Acli e farle diventare Acli in movimento, in cammino, soprattutto verso le periferie esistenziali”. Che tipo di collaborazione avete con le Acli italiane?
Apparteniamo tutti alla stessa organizzazione però abbiamo delle autonomie e degli impegni differenziati. Ciascuna realtà ha un suo ruolo logicamente sostenuto dalla realtà nazionale di cooperazione. A giugno ci sarà la fase finale del congresso nazionale dove verranno definiti gli organi, gli aspetti organizzativi e il patto associativo, cioè il programma che la presidenza elabora e mette a disposizione. Stiamo chiedendo alle Acli nazionali di aiutarci a rispondere alle esigenze di questo tempo, di questo mondo digitalizzato. Dobbiamo essere capaci di tutelare, proteggere ed educare i nostri concittadini all’estero, perché alle nuove generazioni non possiamo offrire ciò che offrivamo dieci o venti anni fa. Questo è il discorso che vorremmo fare.