Professoressa Barbara Altieri, insegnante di italiano e storia al liceo bilingue Freiherr-vom-Stein di Francoforte
Professoressa Altieri, che cosa le manca maggiormente della lezione in presenza?
Mi manca soprattutto l’interrelazione con i ragazzi, perché la cosa più importante che si ha in classe è lo scambio di sguardi, l’atmosfera che c’è in classe quando si sta insieme, vedere anche come interagiscono fra di loro, come reagiscono alla lezione. Le videolezioni sono un surrogato, non è scuola. Ci arrangiamo e i ragazzi sono molto bravi nell’interazione anche se spesso durante la videolezione una parte del gruppo classe non attiva la telecamera con una scusa o con un’altra. È molto difficile fare lezione davanti uno schermo nero, è frustrante.
La videolezione è un surrogato, ma è sempre meglio del solo caricare materiale sul portale. Come organizza la sua lezione?
Oggi dopo due ore di videolezione in storia mi son chiesta come posso rendere interessante tramite zoom una lezione. Fare una lezione in classe è diverso perché in classe si può fare uno schema alla lavagna, si può chiamare qualcuno a esporre, si può vedere un video. Forse è più facile fare una videolezione di matematica ma con materie discorsive come l’italiano e la storia è più difficile. La letteratura, la storia, sono materie che permettono di ragionare, di riflettere, di crescere dentro, sono ricchissime. Mandare solo materiale sarebbe facile però non è questa la scuola secondo me. Ho sempre pensato che la lezione si fa con i ragazzi. Se i ragazzi fanno domande e la lezione va in tutt’altra direzione da quello che avevo programmato, non importa. Perché vuol dire che la classe in quel momento ha bisogno di quello e non di quello che io avevo programmato.
Siamo tutti d’accordo che l’homeschooling è meglio di niente ma ci rende anche più coscienti del fatto che la didattica non è solo trasferimento di nozioni, e che la scuola ha un ruolo pedagogico, sociale molto importante. Che impatto ha sugli studenti l’apprendimento con la lezione a distanza?
Negativo, non ho dubbi. È un impatto negativo, i ragazzi già fanno poco normalmente, a distanza fanno ancora di meno. Ho notato un peggioramento in italiano che dipende dal non parlare quotidianamente l’italiano a scuola e quindi chi aveva già delle difficoltà le ha viste aumentare. Dal punto di vista della lingua, c’è una perdita. Ma anche se fosse la prima lingua, come il tedesco, ci sarebbe comunque una perdita perché non c’è lo scambio, l’interazione continua nella classe, come dicevo prima. Inoltre i ragazzi hanno bisogno di una regolarità di un ritmo di marcia. Il lockdown ha interrotto tutto questo, il loro modo di lavorare, il loro ritmo che è un ritmo vitale. Questo ha anche un impatto psicologico. Dire “va bene non vado a scuola, dormo fino alle dieci, tanto la prof manda solo il materiale o la videoconferenza comincia alla dieci, mi alzo metto una felpa sopra il pigiama”, anche quello è negativo. Andare a scuola, come andare al lavoro significa: mi alzo, mi lavo, mi vesto, curo me stesso. Ora c’è una deriva totale, c’è un lasciare andare tutto, anche l’impegno. Poi certo ogni caso è a sé stante, c’è chi si impegna, si cura nonostante tutto ma a lungo andare è difficile reggere tutto questo.
Paradossalmente lo stare a casa in homeschooling come in homeoffice richiede una maggior disciplina che, come diceva, è difficile da mantenere a lungo termine. Ma secondo Lei, in base alla sua esperienza coi ragazzi, in che modo potranno recuperare, in che modo quello che sta succedendo può essere anche una chance?
Visto così può dire “Oddio, loro hanno perso un anno due anni della loro vita scolastica, della loro vita in generale e che rimarrà questo buco”. Credo che bisogna essere positivi in questo. Quello che si ricaverà da questa esperienza non si può vedere adesso e i ragazzi non lo possono vedere adesso, si vedrà dopo. E comunque è un’esperienza e le esperienze non sono mai negative anche se lo sembrano sul momento. Quando l’anno scorso è cominciato il lockdown durissimo in Italia si diceva che siamo in guerra. Non siamo in guerra perché, grazie al cielo, non siamo bombardati, non soffriamo né la fame, né il freddo però in un certo senso sì. Ma le generazioni che hanno vissuto la guerra sono state molto forti dopo, hanno avuto la capacità di affrontare la vita con molta forza rispetto alla nostra generazione. Quindi voglio essere positiva e pensare che tutto quello che i ragazzi stanno vivendo adesso poi dia loro la forza di affrontare situazioni che ti possono capitare fra capo e collo nella vita. Questa instabilità, questa precarietà della vita è ciò che questo virus ci sta insegnando, è una cosa importante che stanno imparando anche i ragazzi.